ARCHIVIO DEL TEMPO CHE PASSA
COMPIHOBBY


PONTANICO IN VAL DI SAMBRE
A cura di Berlinghiero Buonarroti
(L'Oculista n° 16)

Manifestazioni
Religiose

Le più vecchie notizie che riguardano Pontanico risalgono al 1193. In occasione di una vendita di un pezzo di terra, fra i testimoni compaiono Ugolino di Bartolo e altri quattro cittadini di Pontanico formati da due coppie di fratelli: Bonaccorso e sua sorella Panfollia, figli di Donato Giansalanghi, e Albertino e Signorello, figli di Martino da Pontanico. Se si tiene conto che nel 1350, ben 150 anni dopo, Pontanico ancora non superava i "13 fuochi", vale a dire che c'erano 13 famiglie di contadini, significa che, nell'atto sopra ricordato, erano andati a testimoniare buona parte dei cittadini di Pontanico. Il termine "contadino", allora, non era dispregiativo ma indicava gli abitanti del Contado, cioè quelli che non abitavano nella città di Firenze.
Nel 1260 in occasione della
battaglia di Montaperti, dove i ghibellini senesi sconfissero i guelfi fiorentini, per aiutare quest'ultimi ogni popolo, promise di donare varie staia di grano e di partecipare alla guerra con dei "volontari". Pontanico, nel suo piccolo, per bocca del suo rettore Giovanni Viviani promise 3 staia di grano e inviò in guerra 4 dei suoi cittadini migliori, oltre allo stesso rettore. Proprio nel XIII sec. il Patrono della chiesa di S. Maria a Pontanico era la famiglia de' Compiobbesi, antica famiglia fiorentina, che nel 1189 faceva parte del ceto dirigente di Firenze col console Carretto da Compiobbi e che aveva la propria roccaforte a Monte Acuto, sulla riva sinistra dell'Arno, proprio dirimpetto a Compiobbi. Proprio ai piedi del monte Acuto esisteva ed esiste tuttora la chiesetta di S. Michele a Compiobbi, della quale i Compiobbesi avranno il patronato solo nel 1525 con Pietro di Jacopo de' Compiobbesi, cioè quasi tre secoli dopo quella di Pontanico. Questo non significa che i Compiobbesi erano "più di qua che di là" (dell'Arno), perché l'antica chiesa di S. Michele, così chiamandosi, tradisce l'origine dei Compiobbesi che, con residenza principale a Firenze in S. Michele in Orto (oggi Orsanmichele), probabilmente si erano portati appresso il nome del patrono di origine, battezzando anche la chiesa di Compiobbi (di là d'Arno) con lo stesso nome. E da Compiobbi (sempre di là d'Arno) avevano preso il nome di famiglia esportandolo dalle nostre parti per fondare il secondo Compiobbi.
Sul significato dell'origine del nome di Pontanico ci sono diverse ipotesi. La più comune è quella di "ponte antico", riferito al ponticello pedonale sul fiume Sambre chiamato localmente
Palancola. L'altra, farebbe diventare Pontanico non solo antico ma antichissimo, accreditandone l'origine al 371 dopo Cristo, quando il console romano Sextus Anicius Petronius Probus avrebbe fondato questa piccola comunità. Anche se ciò è improbabile, l'ipotesi è molto suggestiva poiché Anicio faceva parte dell'antica famiglia romana degli Anici, che aveva abbracciato il cristianesimo, trovandosi perciò in antagonismo con l'aristocrazia pagana dei suoi tempi. Da ciò deriverebbe una terza ipotesi che vorrebbe il nome Pontanico derivato da una storpiatura dell'ipotetico Ponte a Vico, vale a dire la sopradetta Palancola, il cui pilone centrale è considerato di epoca romana e che sarebbe stato un ponte pedonale che, attraverso il borgo di case di Calcinaia avrebbe costituito una scorciatoia per arrivare al vicino popolo di Vico. Recenti ricerche d'archivio del Gruppo Archeologico Fiorentino hanno appurato che quella di S. Martino a Vico era una piccola parrocchia, estinta nel '700, che serviva alle funzioni religiose solo per alcune case coloniche della zona (Gello, Casarza, il Colle, la Torre, ma non per il gruppo di case di Calcinaia che,  nonostante fosse distante solo 300 metri dalla chiesa di Vico, ha sempre fatto parte della parrocchia di Pontanico). Fa riflettere il fatto che, alla metà del '300, i Compiobbesi si immatricolassero fra i fornaciai, e che qui nella stessa zona di loro influenza esista la località di Calcinaia, il cui nome presuppone l'esistenza di una fornace e che, guarda caso, una fornace, detta di Vico, esiste a pochi minuti di distanza e i cui resti sono visibili ancora oggi.
Ma perché mai sarebbe sorta una parrocchia per così poche utenze? Un'ipotesi, per ora solo fantarcheologica, accredita la nascita della chiesetta di Vico come bonifica di un presunto tempio pagano in quella zona. L'occhiolino a questa ardita ipotesi lo strizza un atto di vendita del 23 novembre 1421, che si trova nel fondo Diplomatico di S. Maria a Vallombrosa nell'Archivio di Stato di Firenze e che riguarda un podere con casa torre e terre vignate nel popolo (udite, udite!) di
S. MARIA A PONTE A VICO. La metamorfosi da S. Maria a Pontanico a S. Maria a Ponte a Vico, benché sia intrigante, potrebbe essere solo un errore di scrittura; ma non si sa mai…!
In fondo siamo in un territorio ricco di tradizioni popolari ardite, come l'abbinamento che taluni fanno di un certo avvenimento ricordato in un quadro di scuola fiorentina della fine del XVII secolo e che si trova tuttora nella chiesa di Pontanico. Il
quadro rappresenta Santa Cristina che appare a dei contadini, intenti a legare dei covoni di grano e che erano stati sorpresi da un fulmine. L'episodio sembra rimandare ad un fatto effettivamente avvenuto localmente ed il quadro rappresenterebbe un ex-voto per la miracolosa intercessione della santa. Coincidenza vuole che, proprio da Pontanico, sia visibile, sul colle del versante opposto al di là del fiume Sambre nei pressi di Paiatici, poco sopra Casa Consiglio, una località chiamata "la Quercia Assaettata", cioè colpita da una saetta, che sembra rimandare all'episodio descritto.
Dimenticavo di dire che Pontanico è la patria sia dello scultore
Clemente da Pontanico (XV sec) sia di Giuliano di Taddeo da Pontanico (XVI sec.), anch'esso "maestro di scalpello" ed è terra d'origine della "Festa della finocchiona e della mortella" (XX sec.), festa pagana organizzata da don Torquato Focardi fino agli anni '50-'60, nobilitata da una processione sacra che si scioglieva a Villa Romena, ma involgarita dal fatto che, durante la festa, oltre alla finocchiona si mangiavano anche carciofi e ranocchi fritti. La mortella, che è un altro modo di chiamare il mirto, la pianta aromatica che serve per insaporire le carni, benché avesse capacità astringenti in grado di compensare le tendenze lassative della finocchiona, ereditava però, dall'antica Grecia, la spudoratezza di essere sacra a Venere, con buona pace di don Focardi.
La foto in alto, che rappresenta uno scorcio della chiesa di Pontanico, mette in evidenza che una delle due campane non risale al 1370, come alcuni "stoici" sostengono, ma che è nata semplicemente nel 1867 e che fa il paio con quella, sempre in bronzo, del 1895. Sulla parete della canonica si vede lo stemma in marmo della famiglia dei Compiobbesi. Quello sì che è del '300!

Il campanile si S. Maria a Pontanico

Particolare del quadro dedicato a
Santa Cristina, nella chiesa di Pontanico