ARCHIVIO DEL TEMPO CHE PASSA
COMPIHOBBY


CANTANDO COMPIOBBI (Singing Compihobby)
A cura di Berlinghiero Buonarroti
(L'Oculista n° 11)

Ogni città che si rispetti ha il diritto di avere il suo agiografo. Compiobbi non ha voluto essere da meno, anzi, nella sua storia ha avuto il lusso di ben tre agiografi. L'agiografo, per chi non lo sapesse, è un autore di scritti celebrativi che narrano eventi che riguardano un santo, un personaggio o un paese, spesso arricchendo il racconto con notizie leggendarie ed eccezionali e, in ogni caso, laudatorie; come quando una mamma descrive proprio figlio come il più bello e il più buono del mondo!

I Compiobbesi, sono bollati da sempre d'infamia perché una volta, tanto tempo fa avevano cercato, invano, a monte del loro corso d'acqua (verso le Sieci) piuttosto che a valle (verso Firenze), la propria "nave" che era stata trascinata via da un pienone o che era stata rubata. Compiobbi ne aveva proprio bisogno di questa specie di poeti; non fosse altro che per fugare l'antipatica domanda che sempre incombe quando si ha la ventura di declinare le proprie generalità:
Oh icché tu sè' di Compiobbi?

Tre sono, finora, i cantori di Compiobbi:

1) Mauro Ricci, padre scolopio fiorentino dell'800, abituale villeggiante estivo presso quella che allora era denominata Villa Rosa e che oggi corrisponde alla Villa Pisa, che nel 1880 pubblica il volume di ricordi autobiografici I Riposi di Compiobbi ovvero Fiorellini della Pineta.

2)
Virgilio Martini, compiobbese doc dal grande talento di scrittore, nel 1948 pubblica il romanzo autobiografico L'età imbecille scritto fra il 1938 e il 1940 quando era emigrato in sud-America in Colombia, Paraguay, Argentina, Cile, Perù, Equador e Venezuela. Nei primi cinque capitoli del volume parla ampiamente di Compiobbi.

3)
Gianfranco Benvenuti, una vera e propria istituzione culturale di Compiobbi, che nel 1994, pubblica il romanzo autobiografico della sua vita intitolato Il Bambino della Domenica, ambientato a Compiobbi e con continui riferimenti a persone luoghi e avvenimenti svolti in riva all'Arno.
Curiosamente tutti e tre gli scrittori hanno usato la forma autobiografica, ma con tagli completamente diversi.

Mauro Ricci si dichiara addirittura innamorato di Compiobbi e dedica il volume al paese che lo ha ospitato: "Accogli tu di buon animo, o mio Compiobbi, questo villereccio regalo, che sebben piccolo, nessun altri ti ha fatto mai uguale, né mai ti farà con uguale affezione, perché nessuno più di me ebbe, né forse avrà da te, sì continui incitamenti a meditare ed a scrivere".

Quasi settant'anni dopo il giornalista
Virgilio Martini, nipote del famoso "filosofo Pancino", abitante dove erano allora considerati gli inizi dei Campacci, cioè a dire nella semicurva sull'Arno appena lasciati i locali del Circolo La Pace, così dichiara il suo amore-odio per  il suo paese:
"La descrizione di Compiobbi, soprattutto del principio del secolo è difficile ma mi ci proverò. Sulla riva destra dell'Arno, parallele, la via Aretina e la ferrovia. Le case dalle due parti, avevano le facciate sulla strada ed egualmente
s'incipriavano di polvere i volti; ma mentre la fila di destra si anneriva il didietro col fumo delle locomotive, la fila di sinistra se lo inumidiva con le acque del fiume."

Gianfranco Benvenuti, infine, promuove il suo paese a palcoscenico teatrale delle più importanti stagioni della sua vita, ambientandovi tutte le vicende personali impastate con la vita giornaliera dei suoi abitanti; l'omaggio a Compiobbi è così tenero e affettuoso da far divenire il borgo dei Calzolai, col suo "porto", il vero "ombelico del mondo", il luogo dove davvero ha un senso passarvi la vita, come se fosse il posto più bello dell'universo.

Tornando a padre Mauro Ricci non è superfluo notare che si rivolge al suo paese come se si rivolgesse, se per lui fosse stato lecito, ad un'amante. Questo l'inizio del volume:

Personaggi

Oh icché tu se' di Compiobbi?

"Io ti saluto, o gentil paesello di Compiobbi, che a guisa  d'una bella ragazza alla finestra, ti specchi tranquillo  sull'Arno; ed egli da tanti secoli sempre giovane e vigoroso  ti passa dinanzi riverente, col monotono rumorio dell'onda  ripetendo il vecchio ritornello di tutti gli innamorati: Io ti  amo!" […]
"Ti saluto con le tue donne, che di mattina di  levata corrono con la secchia al pubblico pozzo, assai più  liete in volto, e nell'anima più serene dell'antica Samaritana,  perché nelle tue case l'amore non si compra, né si  vende, ma come un fiore in un vaso olezza nei talami  benedetto da Dio".

Più avanti le allusioni e i sottintesi continuano, quando si rivolge alle giovinette di Compiobbi che si apprestano a vivere una giornata spensierata in occasione di una festa locale di popolo : "Ma voi, o ninfe dello Zambre, non avete a temere di guerre di Troie: a casa ci tornerete tutte senza neppure uno sgualcimento di vestito, e con più la contentezza dello spettacolo che ormai comincia".
Poi padre Ricci parla del suo "cannocchiale per meglio fare all'amore con te negli intermezzi di riposo, o caro paesetto, e vedere i forestieri entrare nella tua trattoria, i cavalli dei viaggiatori fermi a rinferrarsi dal tuo fabbro ferraio, per ammirare la pazienza dei pescatori coll'amo sull'argine o sui ronchiosi scogli dell'Arno, per notare i viandanti fermi a leggere la celebrata iscrizione alle case del tuo filosofo muratore Pancino:

I Dio…vi ha fatto vedere la piena…
siete persuasi, ignoranti!!! ."

La scritta, in grossi caratteri fatti a mano, era stata tracciata dal letterato muratore, verso il 1865, per canzonare i pronostici falliti dei compaesani curiosi che, mentre egli stava fabbricandosi la casetta (che esiste tutt'ora ed è abitata da Salvadore Salvadori), lo prendevano in giro prevedendo l'entrata in cucina delle future piene dell'Arno.

Uno scolopio innamorato

Il filosofo Pancino