ARCHIVIO DEL TEMPO CHE PASSA
COMPIHOBBY


CALAMAI: LA FABBRICA DEGLI STRACCI
A cura di Berlinghiero Buonarroti
(L'Oculista n° 23)

Mestieri

Il primo insediamento industriale di Compiobbi ha origine alla fine dell'800 nei pressi di Ellera. La fabbrica, con tanto di ciminiera e con macchinari azionati con la sola forza motrice dell'Arno, era conosciuta, col nomignolo di «Fabbrica dei Rocchetti», fino da quando nel 1906, la famosa ditta Cucirini Cantoni & Coats, popolarmente chiamata dei «Tre C», era subentrata alla gestione dei fratelli Carpena. Sarà poi la volta della ditta di Vittorio Morelli di Prato con direttore Omar Ciabatti che, rivolgendo la propria attività alla cernita degli stracci, farà declassare l'opificio, nel gergo popolare, al termine meno raffinato di «Fabbrica dei cenci».
Durante la seconda guerra mondiale i locali furono utilizzati dalla cavalleria militare e dopo un breve intermezzo con proprietario Pizzilmonte subentrerà, il 7 giugno 1943, la ditta Camillo Calamai di Prato che farà costruire i nuovi locali adatti per la filatura della stoffa grezza, con una decina di telai, e alla cernita degli stracci, suddivisi nelle varie tonalità di colore, che venivano poi inviati a Prato per la ritintura.
La fabbrica aveva due turbine con due alternatori, uno a cucchiaio e uno ad elica, che serviva a produrre energia per poter azionare il macchinario della fabbrica. L'impianto non era molto adatto per le filande perché la corrente aveva notevoli sbalzi di tensione. La struttura lavorativa della fabbrica era così suddivisa:
Filatura (3 turni giornalieri di 8 ore ciascuno quando le filande da due furono portate a cinque. Ogni filanda aveva 600 fusi)
Cardatura e Tessitura. Era la pettinatura della lana raffinata col cardo, che con le sue punte di ferro  la riduceva a fili paralleli rendendoli adatti per la filatura.
Garnetteria o sfilacciatura. La Garnet era una «carda» che trasformava il tessuto delle maglie delle calze o del rayon in materia prima con un pettine che pettinava la «botte del cardino». La sfilacciatrice prendeva lo straccio e passandolo ad una macchina lo trasformava in materia prima da rilavorare sotto forma di lana da ricardare
Carbonizzo. Un forno che bruciava il cotone e le fibre sintetiche come il rayon ma risparmiava la lana veniva usato quando si doveva togliere l'impurità alla lana, fodere, imbottiture, imbastiture e produrre così lana pura (quasi) al 100%. Benché fosse un trattamento a base di acido solforico non bruciava la lana lavorata per varie ore.
Lavaggio. La lana dopo il carbonizzo passava ai cilindri che riproducevano la materia prima che veniva inviata al lavaggio con acqua fredda dell'Arno, quando era pulita, o dai pozzi che si trovavano all'interno della fabbrica, quando quella del fiume era torbida. La lana veniva poi passata alla tintoria che però è stata attiva ad Ellera solo per poco tempo.
Asciugante e Classificazione.
Era la divisione per colori e per materiali. Da un collo si potevano ottenere 23 monti di diversi tipi e tonalità.

Alviero Corsi, detto «Brucino», ha lavorato come capoturno nel Lanificio Calamai per 36 anni ed ha ricostruito a memoria una lista di tutti i lavoratori della ditta nel dopoguerra. Il massimo di operai, nel numero di 90 si sono avuti nel 1945-46. La lunga elencazione non ha intento classificatorio ma serve per non dimenticare il destino di centinaia di famiglie del paese legate per decenni all'attività del lanificio: è un omaggio al sudore quotidiano per sbarcare il lunario dei tanti compiobbesi ed è un tributo alla loro umile esistenza allietata dal vocio dei loro soprannomi e dal risuonare degli affettuosi vezzeggiativi, simbolo di un po' di umanità che spezzava il frastuono assordante delle macchine che lavoravano infaticabilmente negli ampi capannoni di Ellera.

I locali in disuso dell'ex Lanificio Calamai ad Ellera

Questi sono gli operai soprattutto «locali» che hanno lavorato da CALAMAI nei vari anni:

Ariani Renato detto «Gaspero», reparto preparazione
Bacci Emo, cardatore
Bacci Giuseppe capoturno,
(i turni erano tre e ogni turno aveva un capoturno)
Bandinelli Osvaldo, impiegato
Barbieri Laura, tessitura
Barcali Pietro, preparazione,
(vari oli per materie tessili prima della lavorazione)
Barni Giuliano, capo della tessitura da Prato
Barni Saverio, tessitura
Baroncini Renato,
«Olio» filatura
Barracani Roberto, cardatore
Bati Luigi, filatura
Bazzechi Gino, portiere
Bazzechi Leandro,
pulitore (smontaggio, pulitura e rimontaggio macchine)
Beni Franco, filatura
Berni Emilio, preparazione
Berti Fosco, cardatore
Bindi Gino, filatura
Bruno Cozzi, preparazione
Calangiani Fosco, carbonizzo
Capecchi Foresto,
capomacchina, proveniente da Prato ma stanziatosi a Compiobbi
Caselli Gennardo «il Babbo», capoturno
Caselli Ida, orditoio
Casini Mario
«la Nonna», filatura
Cencetti detto «Stoppa», carbonizzo
Cencetti Giulio
«il Nappino», filatura
Cencetti Lido, filatura
Cencetti Nerea
«Ménna», filatura
Cesari Vinicio, filatura
Chioccioli,  da S. Giustino Valdarno
Ciappi Marco, filatura
Ciolli Pilade, fabbro attrezzista
Ciolli Rolando, alla caldaia
Collani Renato
«Maraiglia», tessitura
Corti Giordano
«Chiodo» o «Tulipano», pulitore
Crescioli Enzo «Morbillo», autista
Crescioli Giovanni
«Braciola», preparazione
Del Soldato Anna, tessitura
Del Soldato Gaetano, muratore
Del Soldato Silvia, sfilacciatrice
Del Soldato Gigliola, filatura
Falorni Giuseppa, sfilacciatrice
Falugiani Adriana, tessitura
Falugiani Elena, filatura
Fidanzati Renato
«Pazzine», caldaia (per tintoria)
Fossati Giuseppe, cardatura
Galli Omero, cardatore
Gavazzi Gabriele
«il Brizzolo», filatura
Giampieri Fulvio, cardatura
Giannini Antonio
«Lontra», filatura
Giannini Ivo, ai cilindri
Gigi (da Figline Valdarno), preparazione
Giuliani Ottavio, preparazione
Gori Franca, filatura
Gramogli Giovanni
«i' Nipote», filatura
Gramolati Marco, filatura
I 2 fratelli Boldi da S:Giovanni Valdarno
I 2 fratelli Mola, cardatori
Innocenti Gino, capomacchina
Innocenti Giuseppe
«Maraiglia», ultimo capomacchina negli anni 80
Longoni Nicla «Pulcino», filatura
Lupi Ginetta, sfilacciatura
Magherini Roberto, pulitore

Manzini Emilio detto «Bongo», di Girone
Manzini Marco, genero di Giordano
Maraschi Ugo
«Cristo di Remole», carbonizzo
Marcabi Piero, autista
Marilli Lina, orditoio (poi in tessitura)
Martino Dino
«Lotar», filatura
Masi Mario da Sieci, tessitura
Masini Gino, lavaggio
Masini Graziella, tessitura
Matucci Carlo
Matteoli Guido
«Sghimbe», filatura
Matteoli Mario, cardatura
Miniati Ottavina, sfilacciatrice
Morandi Lauro,
autista su camion OM e su un Doge rifatto. Nel 1942 la ditta aveva un camion che andava a carbone)
Morelli (da Figline Valdarno), preparazione
Mugnai Carla, tessitura
Mugnai Giancarlo
«il Contessino», filatura
Murri Velia, sfilacciatura
Nenci Settimo, pressa
Nistri Argia, sfilacciatrice
Nocentini Gino, portiere
Nocentini Giovanni
«il Carabiniere», filatura
Nocentini Romano
«Tom Mix», filatura
nonno Rigacci, che ha lavorato fino all'età di 90 anni a fare le pulizie
Oriaghiri Romano, filatura
Ottanelli Otello, carbonizzo
(ha avuto un infortunio sul lavoro con amputazione di un braccio. Dopo l'infortunio ebbe la mansione di portiere)
Papi Ettore, autista
Papi Gino
«Pacchiana», autista
Papi Rosetta, sfilacciatrice
Pecchioli Gino, portiere di notte
Pergolini Giovanna, sfilacciatrice
Perini Celestino, ai cilindri
Perini Delo, cardatore
Perini Ettore
«Lepre-lepre», carbonizzo
Perini Rina, sfilacciatrice
Peroni Gino
«i' Biggero», lavaggio
Petronaci Giovanni, cardatore
Pieraccioni Elio, capomacchina
Pieraccioni Rosanna, filatura
Pietrucci, ragioniere
portiere da Perugia, portiere
Quercioli Vittorio, filatura
Ricceri Giorgio
«Camusso» o «Basinto» o «Birillo», filatura
Ricceri Graziella, tessitura
Ricceri Guido, filatura
Ricci da Figline Valdarno, preparazione
Rigacci Francesco, falegname
Rigacci Luciano capofabbrica, cioè caporeparto di filatura e cardatura
Roselli Danilo, lavaggio
Roselli Piero, lavaggio

Rossi Mauro, filatura
Saporita Angelo, cardatore
Sartini Leopoldo
«Poldino», preparazione
Sartini Rolando, filatura
Soldi Amerigo
«I' lachera» da Sieci, capoturno
Soni Milena, tessitura
suocero di Saporita
Taiuti Dina, sfilacciatrice.
Tea da Pontassieve, tessitura
Torrini Carlo
«Carlone», filatura
Tucci Paolo, lavoro
misto (sia tecnico alle macchine, che muratore o meccanico)
Vaggelli Oliviero «Pacchine», lavaggio
Veracini Umberto, cardatura
Vignali Varo
«la Merla nera», filatura
Vinci Renzo
«la Mamma», capoturno


Queste sono le 8 persone che furono trasferite ad Ellera nel 1943 dal proprietario Cammillo Calamai dal proprio lanificio di Prato per impiantare il reparto filatura:
Cecconi Ugo, direttore
Cecconi Leda, impiegata
Bandinelli Osvaldo, ragioniere
Bartolini detto
«Ariette», capo filatore
Bardazzi Fiorello, filatore
Menicacci, capo filatore
Pagnini, capo filatore

«Filidoro», capomacchina (è l'ideatore della maggioranza dei soprannomi degli operai della Calamai e del quale, per la legge dantesca del contrappasso, non si ha memoria del suo cognome)

I resti della macchina Garnet per sfilacciare il rayon nel Lanificio Calamai di Ellera.
(Foto Berlinghiero Buonarroti)